Persone Transgender
Persone transgender e non-binary
Il mondo trans* è un universo estremamente eterogeneo. La “varianza di genere” non è un fenomeno unitario, ma uno spettro di possibilità. Come per ogni fenomeno identitario, la dimensione centrale è quella soggettiva. Le identità trans* sono identità autodeterminate. In poche parole, per sapere quali termini (e quali pronomi) usare, è sempre meglio chiedere alle persone direttamente interessate.
Il linguaggio stesso è uno spazio di contestazione, di discussione e di riappropriazione (ribaltando la connotazione negativa di alcuni termini per rivendicarli come propri) all’interno delle reti trans, non binarie e non cisgenere. Il linguaggio è una pratica: non ci sono usi uniformi dello stesso all’interno di queste reti. Ad esempio alcune persone utilizzano il termine “transessuale” per soggettivarsi mentre altre se ne distanziano perché connotato in modo patologico data l’origine medica e preferiscono il termine “trans*”.
Una difficoltà che trova chi desideri attivarsi per la salute ed il benessere sessuale delle persone trans* è che i riferimenti scientifici, i protocolli, le linee guida sui cui sono stati definiti i livelli di salute delle persone trans* sono elaborati spesso, ed in particolare in Italia, da persone che non hanno esperito sulla propria pelle vissuti ed esperienze di chi è stato assegnato alla nascita ad un sesso che non sente come proprio. Solo di recente le persone trans* stanno acquisendo lentamente voce per poter partecipare all’elaborazione di nuove modalità d’azione sulla salute che riguardano non solo i propri corpi ma il benessere più in generale in quanto persone degne di ogni attenzione e cura.
Cruciali sono stati gli ultimi dieci anni caratterizzati da importanti campagne volte alla de-patologizzazione delle identità trans* ad opera di attivist* trans, scienziat*, esponenti del mondo culturale e politico, che hanno avuto un forte impatto sulla preparazione delle ultime edizioni dei principali manuali psichiatrici.
Come scrivono nella recente rassegna Beek, Cohen-Kettenis e Kreukels (2016), osservando la storia delle trasformazioni diagnostiche per l’inquadramento delle condizioni transessuali, risulta evidente quanto, negli ultimi decenni, le concezioni generali sulla varianza di genere si siano modificate. I movimenti sociali delle persone trans, i progressi della scienza medica e i cambiamenti culturali che hanno seguito questi eventi hanno profondamente modificato la concezione della relazione tra sesso di assegnazione e genere sia in ambito scientifico sia presso la popolazione generale. Nonostante questo, fino a pochi decenni fa in ambito psichiatrico l’opinione più diffusa rispetto all’esperienza transessuale era quella di una malattia vicina al delirio psicotico.
Ora la psichiatria, di pari passo con le legislazioni di molti paesi, vede l’incongruenza tra genere esperito e sesso assegnato alla nascita una “normale variante dell’espressione di genere umana” (Drescher e Byne, 2013). In questa cornice si inquadrano i criteri che sono seguiti dai testi scientifici di riferimento che sono il «Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali» (il DSM-5-TR così denominato dall’ultima revisione in data 18 marzo 2022) e dalla Classificazione Internazionale delle Malattie per questioni, che qui sarebbe complesso sintetizzare, come la “disforia” di genere nei bambini, negli adolescenti e negli adulti, e lo stesso dibattito sulla necessità della diagnosi.
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